Capitolo XV

Capitolo XV

 

-Abbiamo un nemico in comune… ma ho mille motivi più di voi per combatterlo. Non rimarrò in un angolo a pregare, sappiatelo.

Albafica sorrise tristemente, osservando il viso pallido della contessina, che conservava una sfumatura grigiastra a causa di ciò che era successo il giorno prima: quella povera creatura non meritava una prova simile, così ardua che avrebbe messo in difficoltà molti suoi parigrado, ma disgraziatamente era nel mezzo di quella tragedia e non poteva sottrarsi al suo compito di protettrice di quei luoghi. -Ne ero certo, contessa. Ma so che sarete un’ottima alleata.

-Lo sarò certamente e voi avete bisogno di me.- disse la ragazza –Conosco Frydenjord e il palazzo come le mie tasche, così come i suoi abitanti, mentre voi siete uno straniero. Se vi mostraste troppo curioso, chiunque sia questa… Stella Malefica si insospettirebbe, la scusa dell’amicizia tra Jens e vostro padre reggerà ancora poco, la gente si chiederà come mai un mercante lasci i propri affari per così tanto tempo solo per venire a trovare un povero anziano. E scusate la mia maleducazione, non vi ho chiesto di accomodarvi.

Non poteva certo dire che la contessa non avesse ragione, ragionò Albafica mentre si sedeva sulla poltrona che la fanciulla gli indicava: presentandosi come mercante in visita di cortesia ad un amico di famiglia si era costruito un alibi che sarebbe durato solo pochi giorni, ma le cose si stavano trascinando e presto avrebbe dovuto trovare un’altra scusa. –Cosa suggerite? Non posso certo andarmene.

-Potreste dire che i vostri affari vi tratterranno in zona, ma poi dovreste trovare qualcuno che vi regga il gioco… e poi in cosa commercereste? Qua non c’è produzione di stoffe preziose e ormai il porto di Århus è in rovina, i suoi giorni gloriosi si sono conclusi e probabilmente non torneranno più. No, Jens Andersen aveva ragione, ieri… dovrete fingere di essere un mio pretendente.- concluse la contessa con molta disinvoltura.

Albafica si fece pensieroso: non era affatto una pessima idea, dopotutto in veste di pretendente di Friederieke avrebbe probabilmente avuto più libertà di movimento e sicuramente una scusa migliore di quella utilizzata fino a quel momento, ma lo imbarazzava non dopo dover fingere interessi di un certo tipo nei confronti di quella ragazza –di solito quello era il genere di cose che lasciava a Manigoldo-.

-Non fate quella faccia, monsieur Van Dijk, sapete anche voi di aver poche alternative.- disse Iedike –Se vi fingete mio pretendente, avrete una scusa perfetta per rimanere nei dintorni e per incontrarvi con me. Da parte mia, io fingerò di ricambiare il vostro interesse, anzi, di essere follemente innamorata di voi… Nessuno si insospettirà molto: ho sempre avuto comportamenti sconvenienti per una donna del mio rango, almeno secondo ciò che dicono le mie cugine e la signorina Bernstein e tutti mi considerano una vera selvaggia, ovviamente nessuno si stupirà se manifesto così apertamente le mie preferenze per voi e tantomeno si stupiranno di vedervi in mia compagnia così spesso. Ovviamente, oltre che bello, siete anche colto e molto ricco, così crede la gente e quindi dubito che mio padre vi proibirà di avvicinarvi a me… mi dispiace doverlo dire ad alta voce, ma le nostre finanze sono piuttosto dissestante e se io e mio fratello non faremo buoni matrimoni, il destino della tenuta sarà ben poco felice[1]. Vedete? Questo è un piano perfetto.

-Lo è.- convenne Albafica, sorridendo davanti alla logica della giovane donna. Aveva proprio ragione, il vecchio Jens: la contessina non era solo bella, testarda e curiosa, ma aveva una bella testolina i cui ingranaggi lavoravano instancabilmente. -Quindi io e voi siamo innamorati.

-Follemente, signor Van Dijk. Più tardi vi farò recapitare una lettera in cui accennerò alle tenere parole che ci siamo appena scambiati e mi dirò entusiasta delle vostre proposte. Voi ricambierete, chiamandomi “mia cara Iedike” –e, a proposito, chiamatemi pure Iedike, non mi offendo di certo e vista la nostra alleanza mi sembra più consono che chiamarmi “contessa”-, ribadendo i vostri sentimenti per me e poi parlerete di quanto felice potrebbe essere il nostro matrimonio. Fatemela recapitare il prima possibile. Poi mandate un biglietto in cui annunciate la vostra visita: passeggeremo nel parco e appena qualcuno sarà abbastanza vicino da vederci, voi mi taglierete una ciocca di capelli e la metterete in un fazzoletto. Io sorriderò adorante ed il gioco sarà fatto: nessuno dubiterà che voi ed io siamo innamorati e progettiamo di sposarci e siccome le chiacchiere si spargono velocemente, presto si saprà fino ad Århus se non oltre.

-Un piano molto ben congegnato.- riconobbe il giovane uomo.

-Grazie, ci ho riflettuto mentre Edda vi andava a prendere. Ma ora ditemi… cosa mi è successo ieri? Ricordo ben poco… voi mi avete parlato di quel rosso legame e poi… è tutto così nebuloso.

Albafica si mise comodo. –Ricordate che conducevamo i cavalli a mano per il paese, parlando? Bene… la campana ha suonato a messa e gli abitanti del villaggio sono usciti dalle loro case, parevano dei morti ed erano grigi in volto; si sono diretti verso la chiesa in un silenzio che nulla aveva di umano. È peggio di quanto pensassi, quando sono arrivato qua qualche giorno fa sembravano molto meno influenzati dal grigiore, pare che questo maleficio diventi ogni giorno sempre più potente… e ad un certo punto è arrivato vostro fratello.- disse, guardandola di sottecchi in attesa della sua reazione. Certo, si fidava di lei, ma i suoi sentimenti avrebbero potuto rivelargli qualche dettaglio, magari qualche paura o pensiero che la ragazza non aveva voluto esprimere ad alta voce.

-Ludvig?! Ne siete certo? Stava male anche lui?- chiese Iedike, preoccupata.

-No, affatto: stava magnificamente, non pareva risentire del grigiore. È smontato da cavallo e ci ha salutati e a quel punto mi sono accorto che il maleficio stava agendo anche su di voi. Vi ho aiutata a montare in sella e vi ho riportata qua, affidandovi alle vostre serve.- le spiegò.

-Com’è possibile? Ludvig non è un servo degli dei, dovrebbe risentire del grigiore se perfino io sono stata male! A meno che…- sussurrò la ragazza, senza trovare la forza di continuare.

-A meno che non sia in combutta con la Stella… o lo sia lui stesso.- disse il guerriero delle rose, terminando la frase per lei.

-Ah, no, questa è follia! Mio fratello non lo farebbe mai, signor Van Dijk! Certo, non è la persona più onesta di questo mondo ed ha mille e più difetti, ama dileggiarsi con le donne sposate e non si cura molto dell’etichetta o di salvaguardare Frydenjord, ma non farebbe mai una cosa simile! Ludvig non è così!- disse la ragazza, inalberandosi. Albafica si limitò ad osservarla, chiedendosi come risponderle senza urtarne i sentimenti: perfino a Cardia, di sicuro non noto per la sua sensibilità, sarebbe stato evidente che quella ragazza condivideva col fratello maggiore un legame profondo, ma non ebbe bisogno di arrovellarsi troppo, perché la fanciulla si lasciò andare mollemente sulla poltrona, serrando gli occhi. –O forse mi illudo di conoscerlo, che sia la stessa persona che era quand’era un ragazzino. Signor Van Dijk, perdonatemi. Io voglio bene a Ludvig e sono certa che, almeno in passato, lui ne ha voluto a me e a nostro padre e non posso sopportare l’idea che qualcuno abbia plagiato la sua mente o che… che abbia volontariamente scelto di tradirci per cupidigia. Voi avete fratelli?- chiese, riaprendo gli occhi blu, lucidi di lacrime che si sforzava di trattenere.

-No, non ne ho, contessa.- le rispose.

-È un peccato… da bambina io non avevo che lui. Mia madre morì presto, di parto e poco dopo fu raggiunta dalla creatura che aveva messo al mondo, un bimbetto piccolo e debole che non visse che poche ore. Mio padre ne fu devastato, penso che l’amasse davvero nonostante il loro matrimonio fosse stato combinato e credo che, a modo suo, la contessa mia madre lo ricambiasse: dopo il suo funerale il conte si chiuse nella biblioteca e per quasi un anno non ne uscì che raramente. Qua, oltre a noi, c’erano ben pochi bambini: è stata un’infanzia abbastanza solitaria e io e mio fratello, nonostante la differenza di età, passavamo molto tempo giocando assieme, soprattutto a causa dei suoi istitutori prima e della signorina Bernstein dopo, che non vedevano di buon occhio le nostre amicizie, per lo più figli dei fittavoli e dei piccoli possidenti di Frydenjord. Ludvig, per me, era anche un gradino sopra a Nostro Signore e so che per lui io non ero da meno… l’idea che possa averci fatto questo mi devasta.- spiegò, con disarmante sincerità, la giovane contessa. Per lei, Ludvig era il mondo: vissuta nell’isolamento della campagna danese per molti anni, il fratello era stato un compagno di giochi e di punizioni, un confidente fidato e un maestro di vita. Era stato lui ad insegnarle come funzionava la corte e l’animo di certi nobili che incontravano alla capitale, lui a svelarle come funzionavano i rapporti tra messeri e dame e sempre Ludvig l’aveva aiutata a sbarazzarsi dei suoi pretendenti, che avevano iniziato ad affollare la sua casa quando non aveva che dodici anni; era stato Ludvig, assieme alla sua amata Maria, a darle l’amore che sua madre, un po’ troppo vanesia, non era riuscita a darle nonostante gli sforzi e il conforto che suo padre, chiuso in un lutto che le era parso eterno, non era riuscito ad elargirle quando la contessa era morta –che Iedike, nonostante tutto, aveva amato e che rimpiangeva ancora-, troppo preso dal proprio dolore. Come poteva il suo amato fratello tradirla a quel modo? Da quando quella brutta storia era iniziata si sentiva così confusa…

-Non posso immaginare cosa stiate provando, contessa.- disse Albafica, riportandola alla realtà –Non pretendo nemmeno di fingere di saperlo, poiché mio padre non mi ha mai tradito nel modo in cui temete che vostro fratello abbia fatto, ma non sono ancora del tutto certo che sia proprio Ludvig il nostro nemico, quindi rasserenatevi, forse i miei sono timori infondati… per ora possiamo solo indagare con la maggior razionalità possibile e tentare di non saltare a conclusioni affrettate.

-Avete ragione, monsieur. Perdonatemi…- disse la ragazza, tentando di sgombrare la mente e ritrovare la calma. L’agitazione non avrebbe fatto che peggiorare il senso di stanchezza e renderla inutile, non doveva cedere ai nervi. –Bene, credo sia il momento di mettere in atto la nostra commedia. Spero che siate un bravo attore. Fatemi un favore, aiutatemi ad alzarmi, mi sento ancora debole… passeggeremo lungo il viale di querce, lì nessuno ci spierà.

Albafica la guardò per un lungo istante: l’idea di toccarla non gli piaceva affatto, ma indossava i soliti guanti di pelle e quindi il rischio di avvelenarla era decisamente minimo. Si alzò con grazia e aiutò la ragazza ad alzarsi. Le parve ancora più pallida di prima e prima di lasciarla aspettò qualche secondo, perché evidentemente faceva fatica a reggersi, forse colta da un lieve giramento di testa. –State bene?

-Starei meglio se questa Stella avesse scelto di mettere a ferro e fuoco la Svezia[2]… di certo il nostro sovrano ne sarebbe stato felicissimo.- rispose sarcasticamente la fanciulla, facendolo sorridere. –Monsieur, potete lasciarmi, ora, credo di poter camminare senza svenire. Vi chiederei di darmi il braccio, ma non voglio angustiarvi più del dovuto. Venite, usciamo da qua, mi manca l’aria.

 

Entrò nella stanza buia in preda all’agitazione, facendo abbastanza rumore da svegliare il suo complice, che imprecò.

-Che succede? Perché questa fretta?- disse la figura in ombra, mettendosi a sedere.

-Lo straniero è qua… ha passato quasi un’ora con la contessa, parlando di chissà cosa.- rispose l’altro.

-Nessuno ha sentito?

-No… ho chiesto alle serve, ma non ne sanno nulla.

-Brutto affare… ora dove sono?

-Li ho visti uscire… che devo fare?

-Scrivi un biglietto al nostro maestro. Meglio che sappia che quei due tramano qualcosa… spero per loro che si tratti di un matrimonio… e per Dio, comportati normalmente! Ci vuoi fare scoprire?!

 

Iedike era rimasta in silenzio finché non erano usciti dal palazzo: fortunatamente i corridoi parevano vuoti e non avevano nemmeno incontrato Sophia e Christina, che forse dormivano ancora o forse ricamavano in compagnia della signorina Bernstein. Una volta all’aperto, inspirò golosamente l’aria fresca e si beò della poca luce che riusciva a superare la coltre di nubi grigie e minacciose.

-Bene, ora possiamo parlare. Venite, il viale è molto grazioso e ha il vantaggio di essere visibile da parecchie stanze. Diamo alla buona gente del palazzo un buon motivo per sparlare dei nostri sentimenti.- disse al suo alleato con ritrovata vitalità. Camminando con calma, i due giovani imboccarono il viale di querce. –Ebbene, prima di tutto, voglio saperne di più di voi. Ieri avete parlato della vostra dea e vi assicuro che ancora ci sono molte cose che non so o non capisco, ma non avete detto una sola parola sul vostro conto, se si esclude quel vostro segreto che non intendo rivelare a nessuno.

-Siete molto curiosa, sapete?

-Oh, sì. E secondo la signorina Bernstein anche incredibilmente sfacciata e villana. Vi disturbo, per caso?

Il ragazzo sorrise: in quel momento la contessa gli ricordava Manigoldo. –Assolutamente no e non vi trovo affatto villana. Forse sfacciata, ma non villana: continuate a sembrarmi graziosa e amabile come sempre.

-Continuate così e sarò io a chiedervi di sposarmi, sappiatelo.- rise la ragazza, facendo arrossire lievemente i guerriero –Ma tornando a noi… Albafica Van Dijk è il vostro vero nome?

-In parte sì. Mi chiamo davvero Albafica, questo è il nome che mi impose il mio maestro, ma Van Dijk è un cognome inventato che uso quando sono in missione per conto della dea. Non conosco quale sia il cognome con cui sono nato, in realtà e da dove vengo non mi serve nemmeno.- le spiegò.

-Oh… siete orfano?

-Sono un trovatello. Di più non so: i miei genitori o chi per loro mi abbandonarono in un campo di rose, di quelle velenose che solo il cavaliere dei Pesci può maneggiare senza perire. Il mio maestro mi trovò miracolosamente ancora in vita e mi prese con sé, deciso a fare di me il suo successore.

-Era a lui che vi riferivate quando parlavate di vostro padre?

Albafica annuì. Lugonis, il suo caro maestro, l’unico padre che avesse mai avuto, l’unica famiglia che gli era stata concessa, l’unica mano amica che lo aveva mai toccato da che lui ricordasse… e l’ultima ad averlo fatto. Dopo la sua dipartita, il suo mondo era stato per sempre privato del calore umano.

-Comprendo… avete visto molte guerre?

-Più che guerre, battaglie, ma non sono che il preludio a ciò che accadrà a breve.

-Battaglie come questa?- chiese la ragazza, ansiosa di sapere.

-A volte… e vi voglio rassicurare: finora ne sono sempre uscito vittorioso. Non sempre per mio solo merito, lo ammetto, perché di solito lavoro con un mio camerata, Manigoldo del Cancro.

-Manigoldo? Che nome strano… mi sembra una parola di qualche lingua del sud… italiano, forse?- disse la contessa, che aveva avuto la fortuna di poter tentare la lettura di alcuni libri in quella lingua. Tentare, perché, nonostante parlasse latino, ella le lingue dell’Italia non le parlava affatto, ma era stata comunque un’esperienza istruttiva.

-Se non avessi visto quella vostra splendida biblioteca, mi stupirei del fatto che abbiate indovinato, contessa. Sì, il mio compagno viene dall’Italia, anche se credo che Manigoldo sia più un nome d’arte che non quello con cui è stato battezzato, ma ormai tutti lo chiamano così e dubito che qualcuno sappia qual è il suo vero nome.- chiarì il guerriero dei Pesci.

-Che strano mondo… non fraintendetemi, ma per me è tanto strano: i nomi contano talmente poco che potete sceglierveli da voi o ignorare i cognomi. Se fosse così ovunque, sarebbe il caos o dominerebbe la più somma delle giustizie, non credete? E per favore, chiamatemi Iedike.- disse la ragazza.

Albafica sorrise a quell’osservazione: perché no? Il potere spesso non si basava che sui nomi: una famiglia era rispettata invece che un’altra perché portava un cognome ben preciso e poco importava che un uomo non fosse veramente figlio del proprio padre, se il cognome che portava era potente, lo avrebbe protetto e gli avrebbe garantito i diritti di cui non avrebbe certamente goduto se, invece, si fosse scoperto figlio di uno stalliere. –Contes… Iedike, posso farvi una domanda?

-Certamente! Voglio essere equa: io vi sto interrogando sulla vostra vita, non vedo perché dovrei essere immune dalla vostra curiosità.

-Davvero credete a ciò che vi ho raccontato?- chiese il giovane. Era un dubbio che gli ronzava in testa dal giorno prima: possibile che quella creatura cresciuta da timorati di Dio gli avesse creduto praticamente subito? Avrebbe potuto accusarlo di essere in combutta col Demonio, ed invece aveva accettato le sue parole molto velocemente.

Iedike ci rifletté un attimo… che domanda, non era affatto facile come poteva sembrare! Aveva troppi sentimenti contrastanti per dare una risposta univoca… -Presumo di sì. Una parte di me continua a darvi del bugiardo, perché vorrebbe continuare a credere che il villaggio sia solamente afflitto da una malinconia temporanea, ma la verità è che la mia parte razionale sa benissimo che nulla, di tutto ciò che sta accadendo, si può spiegare con la malinconia. Solo il Demonio o qualcuno di altrettanto potente può aver causato tutto questo e mi fido delle parole del mio caro amico Jens… non mi ha mai mentito fino ad oggi, mai. Vi credo, signor Van Dijk, perché nulla, qua, può essere spiegato con le nozioni e le idee che abbiamo su come funzioni davvero il mondo e poi ieri, quando mi siete comparso davanti nel tempo di un battito di ciglia, siete stato anche troppo convincente.

-Non volevo spaventarvi, sappiatelo.

-Non lo avete fatto, non preoccupatevi e sappiate che non solo vi credo, ma ripongo in voi la mia fiducia: sono certa che mi… che ci aiuterete.- gli sorride la ragazza: un sorriso caldo e dolce, di quelli che le aveva rivisto rivolgere ad Henning e ai suoi parenti più cari. –E ora torniamo a noi! Sapete ballare, signor Van Dijk?

 

Sophia mise giù il ricamo, fissando la cugina passeggiare giù, lungo il viale alberato, in compagnia del bel signor Van Dijk. Ma com’era possibile?! Come? Davvero quella ragazza senza né arte né parte poteva aver ammaliato un uomo tanto bello e raffinato, talmente perfetto che era impossibile crederlo un misero mercante?

Christina allungò il collo, osservando anch’ella la coppia e sorridendo, emozionata come se si parlasse di lei. –Oh, non sono adorabili? Signora madre, guardate! Iedike passeggia con quello straniero… paiono due innamorati! Credete che sia possibile? Signorina Bernstein? Di sicuro voi la conoscete abbastanza bene…

-Non mi pare quasi vero, baronessa Christina. Non l’ho mai vista passeggiare con un uomo che non fosse il conte Ludvig! Che Dio abbia ascoltato le preghiere del conte vostro zio?- intervenne la signorina Bernstein, altrettanto colpita.

Maria sorrise alla maggiore delle sue figlie, continuando a ricamare, mentre Sophia riprendeva il suo lavoro, schiumante di rabbia: a volte Christina la sorprendeva, tornando la bambina buona e generosa di un tempo e chissà, forse sua figlia aveva ragione, forse Iedike si era innamorata davvero. Quel ragazzo le ispirava fiducia e sicuramente a sua nipote una buona dose di amore avrebbe fatto bene.

-Sarà come dite voi, signore, ma non credo che Friederieke sia persona da questo genere di cose. Credo di essere abbastanza sicura di averle sentito dire di non aver intenzione di sposarsi.- s’intromise Sophia –Madre, sapete per caso se il signor Van Dijk è stato invitato al ballo? Sarebbe scortese non farlo.

Maria colse subito l’occasione. –Oh, mia cara, sono sicura che ci abbia già pensato Iedike.- le disse, tornando al proprio ricamo.

 

 

 

 

[1] In realtà le ragazze nobili dell’epoca non parlavano mai delle finanze di famiglia per due ragioni: non ne sapevano nulla, in quanto, al massimo, avevano solo nozioni di economia domestica e non era una cosa molto ben vista. Per esigenze di copione, Iedike è stata invece istruita dal conte anche nella nobilissima arte della contabilità –dato che suo fratello è uno scansafatiche e ha notoriamente le mani bucate-.

[2] Danesi e Svedesi all’epoca non si amavano particolarmente. Anzi, proprio si odiavano.

Lascia un commento